Dalla conferenza di don Roberto Spataro a Verona: le considerazioni conclusive

Il 29 marzo 2014 don Roberto Spataro tenne a Verona la conferenza “La riscoperta della liturgia tradizionale dopo il Summorum Pontificum. Le ragioni per conoscere ed amare la messa tridentina“, organizzata dal CNSP in collaborazione con Una Voce Verona Sezione San Pietro Martire di Una Voce Italia. Seguì un intenso scambio di riflessioni con gli intervenuti, opportunamente trascritto, qualche tempo dopo, a cura di Una Voce Italia, che pubblicò il tutto nel n. 54-55 del loro Bollettino. Ringraziando Una Voce Italia per averci concesso di pubblicare anche sul nostro sito la trascrizione delle sempreverdi considerazioni di don Spataro, ve le riproponiamo ora come utile lettura estiva.

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La Messa tridentina è in lingua antica

Spesso alla Messa tridentina viene mossa l’obiezione che è in lingua antica, quindi il cristiano non può partecipare in maniera attiva e diretta al rito. A questa obiezione che è ragionevole propongo una serie di considerazioni. La prima è questa. Per svolgere un rito sacro occorre una lingua sacra, questo è un dato pressoché universale testimoniato dalla storia delle religioni, dalla fenomenologia delle religioni. Quando i musulmani pregano, lo fanno con versetti del Corano, che sono in arabo classico che nessuno parla più, e così per altre lingue delle religioni orientali. Allora anche la santa Messa, affinché possa trasmettere la sacralità che le è insita, ha bisogno di una lingua sacra. Era questa la convinzione dei Padri conciliari che prudenzialmente, ragionevolmente, per motivi pastorali e teologici concessero l’introduzione delle lingue nazionali in alcune parti della santa Messa. Ma non prevedevano assolutamente che la lingua sacra scomparisse tout court dalla celebrazione della Messa.

La seconda considerazione che avanzo quando si discute di questi argomenti è la seguente. Che cosa bisogna comprendere? Nella santa Messa è un mistero che fa appello alla fede che si va svolgendo. Allora la comprensione non avviene attraverso le categorie razionali, o esclusivamente attraverso le categorie razionali che formulano concetti, e i concetti, siccome non possono svolazzare in modo etereo, si strutturano in parole di una lingua. Non è una comprensione razionale, ma una comprensione affidata alla fede, allora sono altri gli organi di comprensione del mistero, che non necessitano della lingua parlata ordinariamente.

Ecco, io propongo queste due considerazioni, la terza, che certamente è di minore valore, è la seguente. Basta munirsi di un messalino bilingue e dopo pochissime celebrazioni chiunque, anche chi non ha mai studiato la lingua latina, diventa familiare con l’Ordo Missae, ne comprende il significato e dunque anche quello scoglio della comprensione razionale delle parole viene superato.

La rinuncia alla via pulchritudinis nella liturgia

Personalmente condivido in pieno la riflessione sulla rinuncia alla via pulchritudinis nella liturgia: alcuni dicono che la Chiesa abbia rinunciato al bello per accontentarsi del funzionale, da qui una invadenza del funzionalismo all’interno della liturgia, dell’organizzazione liturgica. Inoltre la rottura nella trasmissione della fede, delle forme della fede attraverso le generazioni, è un pericolo denunciato non solo da noi, che a volte temiamo di essere un gruppo un po’ marginale, ma queste parole su una rottura nella trasmissione della fede sono proprio le parole di papa Francesco in un passaggio della Evangelii gaudium (n. 70). Vorrei riportare una mia impressione, un auspicio e una speranza.

Riferisco un episodio avvenuto circa dieci fa in un seminario. Si sono presentati al Rettore per chiedere di introdurre l’adorazione eucaristica quotidiana. Il Rettore ha risposto che ci avrebbe pensato e ne avrebbe parlato con gli altri formatori. In blocco gli altri formatori e gli altri professori hanno opposto un diniego, ritenendo questo atto di pietà obsoleto, e hanno minacciato le dimissioni se la richiesta fosse stata recepita. La richiesta dei seminaristi è stata recepita, i professori del seminario si sono dimessi in blocco, i seminaristi sono diventati tutti preti e fin’adesso sono dei bravi preti. Che cosa voglio dire con questo episodio? Che è anche una questione indubbiamente generazionale, perché chi ha vissuto gli eventi del Concilio, della riforma conciliare a volte spesso ha vissuto quella esperienza ecclesiale come un atto di rottura con la tradizione. Questa generazione di sacerdoti non riesce a comprendere queste nuove sensibilità, invece la generazione successiva che non è nata non è cresciuta in quella temperie culturale è tabula rasa, e dunque paradossalmente più disponibile e più sensibile.

Allora, se le minoranze creative sono operose, coraggiose, pazienti, serene, allegre, spesso rappresentate nel tessuto ecclesiale dalle generazioni più giovani, allora quello che noi chiamiamo tradizione ha un grande futuro.

Insegnamento della forma straordinaria nei seminari

Sulla applicazione della indicazione data dalla Istruzione Universae Ecclesiae al n. 21 – nei seminari, se le esigenze pastorali lo suggeriscono, si dovrà offrire la possibilità ai futuri sacerdoti di apprendere la forma extraordinaria del rito romano – credo che coloro che hanno la responsabilità della formazione nei seminari, più che il singolo vescovo in genere è una conferenza episcopale, recepiscano questa indicazione laddove c’è già un movimento di fedeli che chiede la celebrazione con la forma straordinaria, perché mi consta che ci sono seminari in numero non irrilevante persino consistente negli USA dove i seminaristi ricevono una formazione liturgica in utroque, proprio perché il movimento dei fedeli è più consistente.

Problemi nei nuovi libri liturgici scritti in pochi anni

Durante il Concilio i Padri hanno affrontato i temi della riforma liturgica e hanno indicato un tracciato in perfetta continuità con la tradizione e anche con il meglio del movimento liturgico vivo nella Chiesa già da cento anni prima della celebrazione del Concilio. Poi è stata affidata di fatto l’applicazione di quella mens – come spesso accade nella natura delle cose – a una commissione, il famoso Consilium, il cui segretario era mons. Bugnini. Ora ,è un dato oggettivo che in pochissimi anni sono stati prodotti nuovi libri liturgici che hanno toccato quasi tutta le vita sacramentale della Chiesa e hanno “sostituito” libri liturgici che si erano andati componendo in una tradizione ultramillenaria. In pochi anni, in dieci anni è stato operato ciò che la Chiesa aveva concepito e generato come nell’utero materno, per secoli e secoli. Qualcosa non poteva funzionare se si è fatto un lavoro del genere in pochi anni.

Il pontificato di papa Francesco

Questo Papa è devotissimo della Madonna ed è molto devoto di san Giuseppe, Patrono universale della Chiesa. Questi sono dei motivi che ci inducono ad apprezzare il pontificato di Francesco, e quando non capiamo alcune sue affermazioni, alcuni dei suoi gesti, davvero con molto umiltà dovremmo chiedere al Signore di aiutarci a comprendere. E quand’anche non comprendessimo, nonostante l’invocazione che abbiamo fatto al Signore, continuare ad amare il Papa e saper attendere. In realtà ci sono dei motivi soprannaturali che ci inducono alla speranza. Il primo atto del pontificato di Francesco è stato un atto di devozione mariana, compiuto con la semplicità e la profondità della pietà popolare, e poi ha scelto non a caso la solennità di san Giuseppe per dare inizio al suo ministero. Certamente ci sono delle novità rispetto al pontificato precedente, non le vogliano nascondere né dire a tutti i costi che non ci sono, tuttavia è sempre lo Spirito Santo che ispira anche questo Pontefice.

Pluralità di riti e Messa cattolica nel Novus ordo

La sospensione del canto dell’Alleluia nel Novus ordo è prevista nel tempo di Quaresima, mentre col Vetus ordo è anticipata alla domenica di Settuagesima. Certamente questi sono elementi che attestano la pluralità dei riti all’interno della Chiesa cattolica. Io sono vissuto sei anni a Gerusalemme, qualche volta assistevo ai riti delle chiese orientali e vivevo queste diversità, davvero la sinfonia della catholica. Problema molto serio è che alcuni, soprattutto della Fraternità San Pio X, hanno avanzato questa obiezione, se il Novus ordo abbia conservato l’essenziale della Messa cattolica. Senza esitazione rispondo certamente sì. La natura sacrificale della Messa cattolica è pienamente testimoniata sia nella costituzione Missale Romanum con la quale il sommo pontefice Paolo VI introdusse il nuovo rito, sia nel tessuto ecologico, sia anche nella ritualità. Indubbiamente il Vetus ordo accentua la natura sacrificale della santa Messa in modo più visibile, più tangibile, oso dire più godibile, più fruibile rispetto al Novusove l’accentuazione di altri elementi si è posta accanto a quella di sacrificio.

Su una dichiarazione attribuita a papa Francesco a proposito della Messa tridentina

L’espressione attribuita al Santo Padre che questa Messa tridentina è una moda che passerà è circolata su alcuni blog e sembrerebbe che sia stata proferita dal Santo Padre in un dialogo con i vescovi della Repubblica Ceca. Tra i vari mestiere che ho fatto, ho insegnato pure storia e così sono sempre molto cauto nel recepire ciò che viene comunicato da una fonte che poi andrebbe ancora verificata, e che a sua volta si è rifatta a un’altra fonte. Direi, in assenza di un dato certo, non ci preoccupiamo di questa notizia che è circolata. C’è comunque il dato, questo oggettivo, che nella archidiocesi di Buenos Aires con aArcivescovo il card. Bergoglio, la Messa con la forma straordinaria era celebrata.

Eliminare gli abusi liturgici

Penso che sia la Messa col Vetus ordo sia la Messa col Novus ordo, come accennato precedentemente, abbiano una teologia completa sulla santa Messa come sacrificio, in sé. Nella pratica la Messa tridentina non dà al sacerdote celebrante o ad altri operatori pastorali l’ansa per modificare i riti fino al punto da illanguidire o snaturare l’identità del senso sacrificale della santa Messa. Invece con la Messa Novus Ordo si affida alla ars celebrandi del sacerdote e alla collaborazione degli operatori liturgici un compito di animazione e di adattamento che a volte è infelice negli esiti al punto che l’aspetto sacrificale, quindi essenziale della Messa viene oscurato. Il problema quindi, secondo me, è più di un abuso che della Messa, del rito in sé. Nelle Messe celebrate col Novus ordo dal papa Benedetto XVI, quelle celebrate in comunità monastiche francesi, si percepisce subito l’atmosfera sacrale, il senso della presenza di Dio. E qui tocchiamo un punto dolente, perché non c’è autorità nella Chiesa che intervenga con energia, con misericordia ma con energia, per eliminare gli abusi liturgici. Dopo l’enciclicaEcclesia de Eucharistia in cui venivano denunciati gli abusi, dopo l’esortazione apostolica con la firma del papa Benedetto Sacramentum caritatis dove questo problema è stato richiamato, dopo una istruzione della Congregazione per il Culto Divino Redemptionis Sacramentum dove sono elencati uno per uno gli abusi e didatticamente distinti in abusi gravi e abusi più lievi, di fatto non c’è quasi nessun vescovo ordinario o superiore religioso in quanto ordinario che intervenga con energia per eliminare gli abusi liturgici. Il problema è che si ha timore per mille motivi di intervenire e restituire la liturgia alla sua purezza.

Il papa Benedetto XVI nella Sacramentum caritatis esprime con i Padri conciliari l’auspicio che i fedeli siano messi in grado di rispondere all’ordinario della Messa in lingua latina, anche perché le occasioni di incontri internazionali si sono moltiplicate. A Gerusalemme, dove le assemblee liturgiche sono molto spesso composte, come in genere in Terrasanta, da persone di lingua madre diversa, la lingua latina è stata conservata in modo copioso nella liturgia. Sabato scorso i membri del Capitolo generale della mia congregazione, i Salesiani, si sono recati in visita all’Università Salesiana, quindi circa duecento salesiani provenienti da tutto il mondo. Abbiamo celebrato i vespri insieme, ed erano più o meno multilingue: la maggior parte dei testi nella lingua italiana, uno in spagnolo e un testo in lingua inglese. Si sentiva che l’assemblea, duecento capitolari e centocinquanta salesiani residenti all’università, si univano ora all’italiano ora allo spagnolo. Ma quando abbiamo cantato il Padre nostro in latino le mura vibravano perché trecentocinquanta uomini cantavano il Padre nostro nella stessa lingua. Allora com’è la situazione su questo punto? il fedele medio sa o non sa recitare in latino? Il fedele medio direi no, con delle significative eccezioni in alcune zone dell’Orbe cattolico. Sorprendentemente in Africa, la maggior parte dei fedeli dell’Africa francofona sono in grado di recitare l’Ave Maria, il Padre nostro, il Gloria, il Sanctus e quant’altro in lingua latina. Poi la Cina perché la riforma conciliare là non è giunta, e poi anche altre zone. A mano a mano che questo nuovo movimento liturgico si diffonde nella Chiesa, si diffonderà anche la conoscenza di queste preghiere.

Le esigenze di rinnovamento della Messa antica

È in atto una riflessione storica, sono avvenimenti vicinissimi, molte persone che sono state protagoniste di quegli avvenimenti sono ancora vive, la documentazione si va compulsando progressivamente, e quindi una risposta più esauriente, completa, argomentata alla domanda su che cosa non è andato bene, se c’erano già dei difetti nella prassi celebrativa del Vetus ordo, potrà essere data col tempo.

Intanto faccio alcune considerazioni. Nessuno ha mai chiesto ai fedeli prima della introduzione della riforma che cosa ne pensassero, oggi vanno di moda i sondaggi, i questionari, ma nel caso della riforma liturgica questo non c’è stato. Noi possiamo consultare tutti gli atti preparatori al Concilio Ecumenico Vaticano II, perché la commissione che papa Giovanni XXIII istituì per la preparazione del concilio (commissione ante preparatoria) chiese agli episcopati, alle università cattoliche, ai superiori degli ordini religiosi di esprimere dei vota, poi istituì la commissione preparatoria, insomma c’è una messe di documenti abbondantissima. Ci accorgiamo che si sentiva il bisogno di rinnovare la liturgia tradizionale, ma con una operazione di “maquillage”, una decisa introduzione del volgare nella parte didattica, ma non altro. Chi ha poi fatto prevalere l’idea di un rinnovamento molto radicale, qualcuno parla di una rivoluzione liturgica, alcuni  – oso dire in modo estremista di una iconoclastia -, certamente è stata una porzione esigua dell’episcopato centrosettentrionale dell’Europa, che ha chiesto la collaborazione dei famosi periti che erano teologi esponenti di una certa linea che approvava queste idee. Per un insieme di cause che gli storici stanno ancora discutendo, e che a me sembrano plausibili perché ci sono anche questi aspetti umani nelle vicende della Chiesa, questo episcopato aveva a disposizione mezzi finanziari, una fortissima presa sui media – ricordo l’ultimo il discorso di Benedetto XVI: c’è stato un concilio dei media. Una gran parte dell’episcopato durante il Concilio non era preparato, era quasi indifferente a certe problematiche e seguiva quello che certe minoranze creative proponevano. E quindi direi è stata una minoranza di teologi che ha imposto anziché un rinnovamento più graduale un’opera di riforma molto più radicale.

La Comunione sulla mano

In una liturgia di riti, di gesti, di segni, di simboli l’atto di ricevere la comunione in ginocchio direttamente sulla lingua senza la mediazione della mano del fedele esprime bene tutto quello che già sappiamo: è un dono immenso che ti viene fatto e che induce all’adorazione. Ora a me costa che la prassi di introduzione della ricezione del corpo e del sangue del Signore sulla mano sia stata una eccezione concessa dalla Santa Sede ad alcune conferenze episcopali e poi progressivamente quella che era una eccezione è diventata la prassi. Ultimamente anche la Conferenza episcopale polacca ha sottoposto questa richiesta che naturalmente è stata accettata. Quello che è nato come eccezione è diventata una prassi.

La mistica nei seminari

Si studia ancora la mistica nei seminari, il trattato ha ricevuto una nuova denominazione, quello che si chiamava ascetica e mistica adesso si chiama in genere teologia spirituale, ma i sussidi, i buoni manuali conservano i capitoli fondamentali per illustrare la vita mistica. Nel seminarista medio oggi, nel candidato al sacerdozio c’è una sete di vita spirituale che può giungere a volte fino all’aspirazione della vita mistica. Ne è prova il fatto che i classici della teologia spirituale continuano a essere stampati, letti e qualche volta anche assimilati. Se nessuno volesse più leggere l’Imitazione di Cristo o la Storia di un’anima o la Filotea non si stamperebbero più, invece grazie a Dio sono libri molto conosciuti. Purtroppo altri meno: per esempio,  L’anima di ogni apostolato che è un gioiello adesso è un libro impolverato nelle biblioteche, o anche Il combattimento spirituale di Lorenzo Scupoli, senza il quale non avremmo il sorriso di san Francesco di Sales. Però altri testi importanti, che hanno fatto la storia della santità cristiana, sono ancora oggetto di diligente lettura.

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